Paolo Viana (Avvenire) - Prima ciò che il Meeting non è. L’applausometro dei politici. La fortezza dei cattolici integralisti. Il marketing di Dio. «Nella diversità delle sue proposte, mi sembra piuttosto che il Meeting si assuma il rischio di comprendere il mondo con le sue contraddizioni, lotte e fallimenti, i suoi punti ciechi. Guardarlo come una meraviglia, forse ferita, dove Dio si fa vedere. Per questo ci veniamo, io e voi, perché se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?». Applausi a scena aperta per il domenicano che cita Weber più di Aristotele. A decodificare il tema della 45esima edizione del Meeting di Rimini oggi è stato Adrien Candiard, membro dell’Institut dominicain d’études orientales (Ideo) e quella che citiamo non era il tentativo di arruffianarsi il pubblico che gremiva la platea e le sale della videodiffusione, ma l’acme del ragionamento filosofico con cui il religioso ha spiegato cosa sia quell’essenziale che - impropriamente - è considerato il tema del Meeting. Già, perché, come ha detto, nella frase di Cormac McCarthy: «Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?», il focus non è l’essenziale - che poi nell’originale è l’essenza - bensì la ricerca che impegna il cristiano e lo affranca da una società in perenne competizione.
Candiard è partito dalla fondazione del pensiero contemporaneo. «Nel nostro mondo non c’è molto consenso tra ciò che deve essere considerato essenziale - ha raccontato - ma era già la condizione della società del 1919, attraversata, come osservava Max Weber, da diversi sistemi di valori». Il filosofo tedesco parlava di “guerra degli dei” ma erano i prodromi dello scontro sull’essenziale che viviamo oggi: ci possiamo dividere sull’eutanasia, ha osservato padre Candiard, ma non possiamo credere «che la nostra opinione su un tema fondamentale come la vita e la morte possa essere condivisa da tutti, neppure nel nostro entourage, e pertanto ci troviamo in dibattiti interminabili perchè indecidibili».
Diversamente dall’inizio del Novecento, quando si pensava ancora di poter distinguere i fatti dai valori, riservare le decisioni sui primi alla scienza e lasciare i secondi alla coscienza, adesso si esclude la discussione dall’intero dibattito. «Oggigiorno si può fare tutto ma non discutere dell’essenziale oppure possiamo parlarne quanto vogliamo purché non cerchiamo di aver ragione, ne possiamo parlare purché non consideriamo nel nostro essenziale più vero di quello del vicino. Il politeismo dei valori ai tempi di Weber era un dato di fatto e per noi è diventato nelle democrazie pluraliste una questione di diritto, affinché nessun sistema di valore possa mai imporsi». [CONTINUA]
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