26 agosto 2024

Il ritorno di Dio nella filosofia ha una via italiana


Francesco Tomatis (Avvenire) -Secondo Pascal «la superbia dei filosofi, che hanno conosciuto Dio e non la loro miseria», rende «inutile e sterile» il loro sapere. Il Dio «dei filosofi e dei dotti», il Dio del razionalismo metafisico non sarebbe autenticamente Dio, essendo solo un ente di ragione. Vero Dio è soltanto il Dio della fede: «Il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei cristiani è un Dio d’amore e di consolazione». 

Pascal aveva di mira innanzitutto il Dio di Cartesio, teorico di un mondo ridotto a rapporti di causa ed effetto fra corpi, essenzialmente ateo, a cui aggiunse Dio, onde «fargli dare un colpetto per mettere in moto il mondo». Su questa linea si ritrova anche Kierkegaard, in polemica con il Dio hegeliano ridotto a sostanza, sapere assoluto, storia, a cui contrappose il Dio del «cavaliere della fede», Abramo. 

Del Dio fine o causa razionale, valore o paravento morale, infine, Nietzsche raccontò la morte, riscontrandone l’evento inesorabile. Con Barth (e non solo) la teologia assunse tale critica radicale al Dio dei filosofi e la stessa filosofia, più preoccupata per la propria fine che per il venir meno della riflessione su Dio, non ci pensò più.


Nel pensiero italiano in particolare, tuttavia, dedito a questioni filosofico-teologiche sin dalle sue origini, non solo né soprattutto a quelle filosofico-politiche, è da tempo in atto una riscoperta del problema filosofico di Dio. 

Ciò avviene in maniera particolarmente incisiva in quei filosofi che abbiano pienamente assunto le considerazioni critiche pascaliane e kierkegaardiane, kantiane e nietzscheane, in vari modi volte a comprendere limiti e grandezza dell’esistenza umana, tuttavia non rinunciando a un discorso filosofico riguardante Dio, anche e soprattutto il Dio della fede cristiana. [CONTINUA]

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