20 aprile 2024

Commento al Vangelo. Quarta domenica di Pasqua (anno B)


Ermes Ronchi (Qumran) -«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore». 

Sottese all'espressione di Gesù: «il mercenario ve­de venire il lupo e fugge perché non gli importa delle pecore» intuisco parole che a­mo e che sorreggono la mia fede. Suonano pressappoco così: al mercenario no, ma a me, pastore vero, le pecore im­portano. Tutte.

Ed è come se a ciascuno di noi ripetesse: tu sei impor­tante per me.

Questa è la mia fede: io gli im­porto. A Dio l'uomo importa, al punto che egli considera o­gni uomo più importante di se stesso. È per questo che dà la vita: la sua vita per la mia vi­ta. Ricordo il grido degli apostoli in una notte di tempesta «Signore, non ti importa che moriamo?» e il Signore ri­sponde placando le onde, sgridando il vento: Sì, mi im­porta di voi, mi importa la vo­stra vita. E lo ripete a ciascuno: mi importano i passeri del cielo ma voi valete più di mol­ti passeri; mi importano an­che i gigli del campo ma tu sei molto di più di tutti i gigli dei campi.

«Io sono il Pastore buono» è il titolo più disarmato e disar­mante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure questa im­magine non ha nulla di de­bole o remissivo: è il pastore forte che si erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fug­gire; il pastore bello nel suo impeto generoso; il pastore vero che ha a cuore cose im­portanti. Il gesto specifico del pastore buono, il gesto più bello che lo rende letteral­mente il 'pastore bello', è, per cinque volte: «Io offro la vita». Qui affiora il filo d'oro che lega insieme tutta intera l'opera di Dio: il lavoro di Dio è da sempre e per sempre of­frire vita. [CONTINUA

Nessun commento:

Posta un commento

Il tuo commento

Articoli più letti