Ermes Ronchi (Qumran) -«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore».
Sottese all'espressione di Gesù: «il mercenario vede venire il lupo e fugge perché non gli importa delle pecore» intuisco parole che amo e che sorreggono la mia fede. Suonano pressappoco così: al mercenario no, ma a me, pastore vero, le pecore importano. Tutte.
Ed è come se a ciascuno di noi ripetesse: tu sei importante per me.
Questa è la mia fede: io gli importo. A Dio l'uomo importa, al punto che egli considera ogni uomo più importante di se stesso. È per questo che dà la vita: la sua vita per la mia vita. Ricordo il grido degli apostoli in una notte di tempesta «Signore, non ti importa che moriamo?» e il Signore risponde placando le onde, sgridando il vento: Sì, mi importa di voi, mi importa la vostra vita. E lo ripete a ciascuno: mi importano i passeri del cielo ma voi valete più di molti passeri; mi importano anche i gigli del campo ma tu sei molto di più di tutti i gigli dei campi.
«Io sono il Pastore buono» è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure questa immagine non ha nulla di debole o remissivo: è il pastore forte che si erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fuggire; il pastore bello nel suo impeto generoso; il pastore vero che ha a cuore cose importanti. Il gesto specifico del pastore buono, il gesto più bello che lo rende letteralmente il 'pastore bello', è, per cinque volte: «Io offro la vita». Qui affiora il filo d'oro che lega insieme tutta intera l'opera di Dio: il lavoro di Dio è da sempre e per sempre offrire vita. [CONTINUA]
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