Matteo Matzuzzi (Il Foglio) - Il vescovo emerito di Hong Kong è un testimone di fede. Lo si comprende leggendo Una, santa, cattolica e apostolica. Dalla Chiesa degli apostoli alla Chiesa sinodale (a cura di Aurelio Porfiri ed edito da Ares, 168 pp., 15 euro) che è una sorta di catechismo per i nostri tempi, fluidi e disordinati, caotici e burrascosi.
Ogni volta che ammiro la nostra città dal Victoria Peak, uno dei punti più alti di Hong Kong, oppure osservo le migliaia di finestre illuminate nella notte, dico al Signore: ‘La famiglia che mi hai affidato è così grande. Come farò?”. Nell’epoca della Chiesa di periferia, dove il centro si vede meglio dagli estremi, dai confini più lontani, la voce di un uomo come Joseph Zen dovrebbe risuonare imperiosa. Accolta e ascoltata, anche da chi non la pensa come lui. Parresia, in fin dei conti. Chi più di Zen, cinese salesiano, quindi vescovo, memoria vivente di una Chiesa martire può ritenersi voce della periferia? Le sue prese di posizione, nette e taglienti, sono note. L’Accordo segreto e provvisorio con la Cina del 2018 non gli è piaciuto, è venuto fino a Roma per dirlo al Papa (che una volta non l’ha neppure ricevuto).
Ha girato il mondo per gridare contro la capitolazione, l’appeasement al nemico, quello che le chiese le tira giù a colpi di bulldozer e costringe i vescovi fedeli a Roma agli arresti domiciliari o alla sparizione in qualche luogo ignoto e sperduto. Tutto questo di Joseph Zen si sa. Spesso il suo nome è stato usato da chi era alla ricerca di un’autorità morale da scagliare contro Pechino, con ben pochi interessi o motivazioni di carattere religioso. O da chi non aspettava altro che attaccare il Papa. Eppure, il novantaduenne Zen è sempre lì, a Hong Kong, a dare testimonianza. Ma il cardinale non è di certo un agitatore politico né gli si addice l’abito di “nemico del Papa” che parte della schiera poco beata e molto adulatrice di Francesco gli ha cucito addosso negli anni. Zen è un testimone di fede.
Lo si comprende leggendo Una, santa, cattolica e apostolica. Dalla Chiesa degli apostoli alla Chiesa sinodale (a cura di Aurelio Porfiri ed edito da Ares, 168 pp., 15 euro) che è una sorta di catechismo per i nostri tempi, fluidi e disordinati, caotici e burrascosi. Tempi di ideologie e di relativismo sfrenato, dove Dio diventa in tanti posti un suppellettile fra tanti. Tornare alla radice, al cuore di tutto, e basta con le solite noiose categorizzazioni di preti e vescovi, divisi fra destrorsi e sinistrorsi: “Conservatore e progressista sono aggettivi provocatori ma spesso vuoti di contenuto. Papa Giovanni XXIII era conservatore o progressista? Recitava tre rosari al giorno ma fu lui a indire il rivoluzionario Concilio ecumenico”. Andare al fondo della questione, insomma. Senza farsi prendere dalla smania di fissare in schemi precostituiti cose che sono di natura divina. Smonta assunti caratterizzanti il dibattito quotidiano, ricorda che “proteggere la tradizione non significa seppellire qualcosa di morto ma tenere in vita la fede”. La Chiesa di martiri torna sempre nei pensieri dell’anziano cardinale: “Quando insegnavo nel seminario in Cina pregavo ogni giorno insieme ai sacerdoti e ai seminaristi. In quel periodo scoprii improvvisamente che l’espressione ‘sacrificio per la fede’ compare molte volte nella liturgia della Chiesa”. In fin dei conti, “la storia della missione della Chiesa è una storia di martiri. E anche la nostra Chiesa in Cina ha scritto una pagina memorabile”.
Il sottotitolo traccia una linea ideale che parte dalla Chiesa degli apostoli e arriva alla Chiesa sinodale, assai in voga di questi tempi in cui tutto è o deve essere “sinodale”. La parolina magica che alleggerisce le coscienze, rinfranca i cuori, infonde speranza e fa pensare – chissà quanto sinceramente – che così la vita per la Chiesa migliorerà. Sul punto Zen è scettico e pone domande: “L’aggettivo ‘sinodale’ e il nome astratto ‘sinodalità’ vengono dalla parola sinodo. Camminare insieme? Sì, ma nella Chiesa chi cammina insieme a chi? Qual è la destinazione di questo cammino? C’è una guida che indichi la corretta direzione?”. Ancora, “da un lato, la Chiesa viene presentata come fondata da Gesù sul fondamento degli apostoli e dei suoi successori, con una gerarchia di ministri ordinati che guidano i fedeli nel loro cammino verso la Gerusalemme celeste. Dall’altro, si parla di una non ben definita sinodalità, una ‘democrazia dei battezzati’. Quali battezzati? Vanno almeno in chiesa regolarmente? Hanno una fede basata sulla Bibbia e una forza che viene dai sacramenti?”. Ma ancora di più, “che cosa ci si propone davvero?” Di tutte le commissioni, i gruppi di lavoro, i tavoli e il resto, scrive Zen, “in quest’anno è necessario uno studio che porti la discussione al livello della fede”.
Già, la fede, senza la quale le assemblee in Vaticano si riducono a raduni dal taglio sociologico o psicologico, fra silenzi meditavi, esortazioni insufflate di qualche pillola spirituale e approfondimento sulle più svariate tematiche all’ordine del giorno. Dalla periferia della Chiesa, ecco allora il richiamo del cardinale Zen: “Anche oggi l’unità della fede non è scontata. In un’epoca moderna in cui ci sono tante correnti di pensiero confuse, come possiamo promuovere l’unità della fede nella nostra Chiesa? Questa unità della fede non esclude la diversità sana e ragionevole, ma la diversità non deve trasformarsi in relativismo, e princìpi contrapposti non possono essere accettati come se fossero entrambi validi”.
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