«Ultimamente, ci siamo trovati ad assistere alla narrazione stabilita dall’oscillazione di Francesco, come un pendolo, in entrambe le direzioni. Il problema: è solo narrativa. Il confine è tra una Chiesa coloniale, una Chiesa schiavista da un lato, e una Chiesa che include tutti, valorizza i popoli indigeni ed è al servizio di tutti, dall’altro».
Andrea Gagliarducci (Korazym) - Due eventi della scorsa settimana sono stati particolarmente significativi. Una è stata la Conferenza internazionale nel centenario del Concilio cinese, con la presenza del Vescovo di Shanghai, Mons. Shen Bin, nominato unilateralmente dal governo cinese e solo successivamente riconosciuto da Papa Francesco. L’altro è stato il viaggio del Cardinale Víctor Manuel Fernández al Cairo, in Egitto, per parlare con Papa Tawadros II, Capo della Chiesa Ortodossa Copta. Come sono collegati questi due eventi? Entrambi gli eventi, a loro modo, rappresentano uno degli aspetti del pontificato di Papa Francesco. In entrambi i casi si ha l’impressione che sia in atto una sorta di “cultura dell’annullamento” cattolica. Occorre cioè ricostruire la storia per superare gli abusi – veri o presunti – del passato e, allo stesso tempo, guardare al futuro fingendo che a tutti stia bene perdere i legami con il passato.
La presenza di Mons. Shen Bin alla Conferenza internazionale organizzato dal Dicastero per l’Evangelizzazione è stata notevole, proprio perché il vescovo arrivava a Roma, in Vaticano, per la prima volta da quando Papa Francesco ha rimediato alla sua nomina unilaterale da parte del governo cinese.
Shen Bin non è solo un vescovo ordinato nel 2010, con il doppio riconoscimento di Pechino e della Santa Sede. È un vescovo tuttavia organico al Partito Comunista Cinese, presiede il Consiglio dei Vescovi Cattolici Cinesi, organismo statale – e porta avanti la visione di sinicizzazione promossa dal Partito Comunista Cinese.
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