29 agosto 2024

Mons. Camisasca: "L'incontro con don Giussani mi cambiò la vita"


Marco Ascione (Corriere della Sera) - L''ex vescovo di Reggio Emilia: «A 14 anni don Giussani mi cambiò la vita. Quando facevo il cappellano del Milan di Berlusconi»

Davvero Antonello Venditti la fece cercare prima di una esibizione all’Olimpico dicendo che senza parlarle non si sarebbe affacciato sul palco? 

«Bisogna prima raccontare come ci eravamo conosciuti». 

Racconti

«Io e Antonello siamo amici. All’inizio degli Ottanta mi cercò perché desiderava organizzare un concerto in piazza San Pietro. Aveva pensato a tutto. Persino alla partecipazione del Papa, allora Giovanni Paolo II, che nella sua visione doveva uscire da una astronave mentre lui cantava. Disse proprio così, spiegandomi che Wojtyla per lui era un marziano, un uomo arrivato da fuori dal mondo. Naturalmente non se ne fece nulla, ma iniziammo a frequentarci. Andavo a casa sua e, talvolta, ai suoi concerti dove, ogni volta, gli impartivo la benedizione prima che iniziasse a cantare». 

E quella volta all’Olimpico? 

«Quella volta non c’ero. Me lo passarono e mi spiegò la situazione. Certo non lo potevo benedire al telefono. Quindi andai all’Olimpico. E iniziò il concerto». 


Massimo Camisasca, non è semplicemente un presule. Settantotto anni, lombardo di nascita (quartiere Corvetto a Milano, ma primi anni a Leggiuno sul Lago Maggiore) e per convinzione, è innanzitutto un ciellino. Non uno qualsiasi, c’era e contava già nel gruppo delle origini. Protagonista di incursioni oltre cortina ai tempi della guerra fredda, nell’allora Cecoslovacchia, in Ungheria e Polonia («una volta, mentre incontravo un gruppo di fedeli in un bosco, fummo circondati da un drappello dell’Armata rossa impegnato in una esercitazione: offrii ai soldati dei pacchetti di Marlboro e se ne andarono soddisfatti»). Vescovo di Reggio Emilia per 9 anni. Fondatore della Fraternità dei missionari di San Carlo. Prolifico autore di saggi (85). Nonché romanziere. Per 15 anni in Vaticano è stato l’ufficiale di collegamento tra Comunione e liberazione e il Pontefice. 

Si dice che la sua agendina fosse imbattile, che lei avesse i numeri di chiunque contasse a Roma e non solo. 

«Chiunque si occupasse di pubbliche relazioni a Roma aveva un’agenda come la mia». 

Partiamo dall’inizio. Nei primi anni Sessanta don Luigi Giussani fu il suo insegnante di religione al liceo classico Berchet, a Milano.

«Lo incontrai già prima, a 14 anni. Mio zio era il suo medico. In casa si parlava di lui come di un giovane prete che faceva prediche appassionanti. Conoscerlo fu per me un evento decisivo. Solo con lui capii che il rapporto con Dio è il rapporto con gli altri». 

La scelta del seminario è arrivata tardi, dopo la laurea in Filosofia alla Cattolica. Perché? 

«Dopo la maturità dissi a Giussani che volevo farmi prete ma convenimmo che sarebbe stato meglio aspettare». 

Con in mezzo il ’68, un bel rischio per un aspirante sacerdote. Prima di abbracciare la Chiesa, le è capitato di innamorarsi? 

«Il mio ’68 fu drammatico e sereno. Drammatico perché tantissimi decisero di abbandonare il movimento. Sereno perché io rimasi saldo nelle mie convinzioni. Come disse Giussani, questi nostri fratelli ci lasciano perché non hanno capito che l’ideologia marxista non è la strada per affrontare i problemi che essi sentono e noi sentiamo con loro». 

E l’amore? 

«Sì, mi è capitato di innamorarmi, ma non mi sono mai dichiarato. Le donne però sono state importanti nella mia vita. Penso alla mia amicizia con Piera Degli Esposti. Ci conoscemmo per caso dopo un messaggio che le lasciai nella segreteria telefonica. Cercavo un’altra persona. Lei disse che si era innamorata della mia voce e mi propose di incontrarci. Era disperata, voleva che io facessi tornare in vita in qualche modo una persona a lei cara e appena morta. Che gliela restituissi. Io non potevo certo farci nulla. Da questa impossibilità nacque il nostro legame. Piombava alle ore più strampalate in seminario, dove io ero superiore della Fraternità San Carlo, e recitava i sonetti di Michelangelo. L’ultima volta che l’ho vista, al Sacro Monte di Varese, stava leggendo un testo di Erri De Luca. Mi disse che era diventata buddista e mi propose di fare altrettanto. Declinai». 

[CONTINUA]

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