27 aprile 2024

Giubileo, storia e radici nelle Sacre Scritture


Su L'Osservatore Romano il cardinale e biblista ripercorre le origini dell'Anno Santo dall'Antico Testamento ai Vangeli.

Gianfranco Ravasi (Vatican News) - Si è soliti far risalire la realtà germinale del «giubileo» al suono di un corno di montone: l’eco proveniva da Gerusalemme, squarciava l’aria e balzava di villaggio in villaggio. Ora, nel testo ebraico dell’intero Antico Testamento il termine jobel compare ventisette volte: sei volte non c’è ombra di dubbio che significhi il corno d’ariete, mentre nelle altre ventuno riguarda l’anno giubilare. La pagina fondamentale di riferimento è il capitolo 25 del libro del Levitico. Si tratta di un testo complesso, inserito nel libro dei figli di Levi, quindi dei sacerdoti, un libro cerimoniale, di normative minute e minuziose, che riguardano la ritualità propria del tempio di Gerusalemme.

Una premessa filologica

Il termine jobel risuona soprattutto in quel testo, ma si trova anche nel capitolo 27. L’antica versione greca della Bibbia, detta tradizionalmente dei Settanta, trovandosi di fronte a questo vocabolo — jobel — anziché tradurlo col ricalco «giubileo», anno giubilare, l’ha tradotto secondo un canone interpretativo: áphesis, che in greco significa «remissione», «liberazione» o anche «perdono». Questo vocabolo sarà molto importante per Gesù perché — come vedremo — egli non parla di giubileo ma usa nel greco di Luca proprio il termine áphesis. Anzi, nel Nuovo Testamento non c’è mai la parola «giubileo». I Settanta, questi antichi traduttori della Bibbia sono, dunque, passati da un dato squisitamente cultuale sacrale (la celebrazione dell’anno giubilare che parte con il suono del corno dell’ariete in una data ben precisa, in connessione con la solennità del Kippur, cioè dell’Espiazione del peccato di Israele) a un concetto etico, morale, esistenziale: la remissione dei debiti, la liberazione degli schiavi (che era il contenuto del giubileo). Il tema del giubileo è stato, quindi, spostato dal linguaggio e dall’atto liturgico al linguaggio e all’esperienza etico-sociale. Questo elemento è rilevante anche oggi per non ridurre il giubileo cristiano solo alla pur basilare celebrazione o ritualità ma per trasformarlo in paradigma di vita cristiana. Alcuni studiosi hanno pensato che il termine jobel non sia da connettere al suono del corno d’ariete ma alla radice ebraica jabal, che significa anche «rinviare, restituire, mandar via». 

L’interpretazione appare però un po’ forzata perché quel «mandar via» non indica necessariamente la liberazione, non ha il respiro del citato termine greco áphesis, ripreso con una particolare sottolineatura proprio da Gesù. Altri tentativi di tipo filologico hanno offerto diverse spiegazioni, ma va riconosciuto che l’elemento di partenza è un dato rituale. Esso suppone il suono del corno d’ariete che scandiva l’inizio di un anno particolare, nel decimo giorno del mese autunnale di Tishri, corrispondente circa al nostro settembre-ottobre, mese in cui cadeva anche il Kippur. È interessante notare che nella lingua fenicia, per certi versi la sorella maggiore dell’ebraico, la stessa radice, ossia le tre consonanti che sono alla base della parola jobel, cioè jbl, indica il «capro», una componente significativa proprio del Kippur. Non vi è quindi dubbio che il suono del corno, il suo segnare un tempo sacrale, sia alla base del termine «giubileo», ma non va dimenticata la tensione che porta verso l’altro polo, quello della traduzione greca: non si tratta solo di un rito, è un elemento che deve incidere profondamente nell’esistenza di un popolo. Dopo questa premessa, cerchiamo di raccogliere e illustrare. [CONTINUA]

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