11 marzo 2024

Dietro le chiese vuote il bisogno di cambiare linguaggio e non solo


Tommaso Giani (Corriere della Sera Firenze) - Questo mese di marzo è un periodo speciale, perché la Pasqua cristiana e il Ramadan islamico arrivano contemporaneamente. È un momento propizio, anche nell’istituto professionale di Fucecchio dove lavoro, per riflettere sull’importanza o meno della pratica religiosa nella vita delle persone. Osservando i miei studenti in questo periodo dell’anno, è quasi impossibile non accorgersi di una distonia evidente fra ragazzi cristiani e musulmani nel modo in cui si stanno avvicinando alla rispettiva festività. Gli studenti musulmani raccontano di non vedere l’ora che arrivi il Ramadan: tutti dicono che vivranno senza sconti la sfida del digiuno dall’alba al tramonto per i 30 giorni consecutivi del mese sacro; quasi tutti confermano che spesso e volentieri visiteranno la moschea di Santa Croce sull’Arno per vivere la preghiera della rottura quotidiana del digiuno insieme ai loro confratelli. «Per noi l’islam non è solo una cosa individuale. È anche stare insieme, commentare la predica dell’imam, confrontarci sui problemi, a volte anche aiutarci tra di noi. Senza lo stare insieme in moschea per me non sarebbe islam», spiega Cheikh.

Per gli studenti che si dicono cristiani, invece, è tutta un’altra musica. «Io credo in Dio, a volte prego anche. Ma non mi ricordo l’ultima volta in cui sono stato a una messa in chiesa. E sinceramente non ne sento la mancanza» risponde Cesare, riflettendo una sensibilità condivisa da quasi tutti i miei studenti italiani e battezzati. Non si tratta certo di un sondaggio dall’esito a sorpresa: le chiese semivuote e le moschee piene sono un’evidenza sotto gli occhi di tutti. Oggi, però, con i miei studenti cristiani e musulmani, voglio cercare di approfondire. «Perché la religione è qualcosa di importante nella vostra vita?», chiedo ai ragazzi musulmani. «L’islam mi aiuta a stare bene. Pregare e leggere il Corano da solo e in compagnia mi trasmette serenità. La pratica religiosa mi aiuta a comportarmi meglio: gestire la rabbia, rispettare gli altri, ringraziare per le cose belle, aiutare gli altri quando posso… L’islam mi aiuta a vivere tutto questo», argomenta Fallou. 

«E voi altri?», chiedo invece ai cristiani che non vanno più in chiesa da diverso tempo, «perché dite che la pratica religiosa non è importante nella vostra vita?». «I miei genitori al catechismo e alla messa mi ci hanno mandato — risponde Mattia — ma sinceramente mi sono sempre annoiato tantissimo. Mi sono allontanato dalla chiesa perché di quello che diceva il prete io non ci capivo niente. La messa l’ho sempre vista come una cosa da vecchi. E poi c’è anche il discorso della scienza: più uno studia e più ti rendi conto che credere in Dio diventa contrario alle leggi della natura. Anche per questo, secondo me, noi ragazzi che abbiamo studiato di più dei nostri nonni abbiamo smesso di andare in chiesa».  

Sono risposte interessantissime, quelle che i miei studenti musulmani e cristiani mi hanno regalato. Per me, diacono della chiesa cattolica, è un bello stimolo per immaginare il cambiamento a cui la chiesa toscana e italiana andrà incontro nei prossimi decenni. La diminuzione netta della pratica religiosa nelle parrocchie potrebbe essere vista come l’inizio della fine. A me invece, da ottimista inguaribile, piace più vederla come un autunno (fra pochi anni un inverno) necessario per una nuova primavera. Sono convinto che ci sia ancora oggi una domanda inespressa di spiritualità, di ideali grandi per cui giocare la vita e fare squadra, di riflessione sul senso profondo del nostro stare al mondo (che per i cristiani è l’Amore verso tutti, anche verso i nemici). 

Tocca a noi Chiesa cambiare le strutture, il linguaggio, la modalità del nostro fare comunione leggendo il Vangelo: un cambiamento e un «rimpicciolimento» necessario, faticoso ma anche affascinante, per offrire alle prossime generazioni una spiritualità cristiana più prossima, più gioiosa e più autentica.

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