06 novembre 2024

Tutt'altro che sinodale. La Chiesa curiosa che vuole Papa Francesco


Sandro Magister (Diakonos) - Tre anni di discussioni senza fine, coronati da un documento che finale non è. È questo il sinodo voluto e modellato da papa Francesco con l’apparente proposito di rifondare la Chiesa come Chiesa di popolo, di tutti i battezzati.

Quale sarà il seguito è difficile pronosticare. Francesco ha espunto da quest’ultimo sinodo tutte le questioni su cui le divisioni erano forti, delegandole a dieci commissioni che andranno avanti a discuterne fino alla prossima primavera. Dopo di che deciderà lui il da farsi.

Ma quel che è certo è che intanto egli ha modificato radicalmente la forma dei sinodi.

Nati con Paolo VI dopo il Concilio Vaticano II col proposito di attuare una guida più collegiale della Chiesa, con i vescovi periodicamente chiamati a consulto dal successore di Pietro, i sinodi sono stati fino a tutto il pontificato di Benedetto XVI momenti rivelatori degli orientamenti della gerarchia della Chiesa sulle questioni di volta in volta poste in esame.

Come in Concilio, le discussioni avvenivano quasi sempre in assemblea plenaria, dove tutti potevano parlare a tutti e ascoltare tutti. Il sinodo era a porte chiuse, ma ogni giorno “L’Osservatore Romano” pubblicava le sintesi di tutti gli interventi con i nomi dei rispettivi oratori, e per i giornalisti accreditati si tenevano dei briefing in varie lingue nei quali dei testimoni incaricati fornivano ulteriori informazioni sul dibattito avvenuto nelle ore precedenti. Ciascun vescovo era libero di rendere pubblico il testo integrale del suo intervento in aula e di riferire ciò che voleva degli interventi ascoltati.

Certo, i sinodi erano puramente consultivi e il solo a trarre delle conclusioni normative era il papa con l’esortazione postinodale che pubblicava qualche mese dopo la fine dei lavori.

Ma quello che un vescovo diceva in aula poteva comunque avere una notevole risonanza nell’opinione pubblica, dentro e fuori la Chiesa. Fortissima, ad esempio, fu l’eco che ebbe l’intervento del cardinale Carlo Maria Martini. gesuita, insigne biblista e arcivescovo di Milano, pronunciato in aula il 7 ottobre del 1999, in un sinodo riguardante la Chiesa in Europa.

Il cardinale disse di aver fatto un sogno: “un confronto universale tra i vescovi che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino delle Chiese europee e non solo europee. Penso in generale agli approfondimenti e agli sviluppi dell’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Penso alla carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del vangelo e dell’eucarestia. Penso ad alcuni temi riguardanti la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, i rapporti con le Chiese sorelle dell’Ortodossia e più in generale il bisogno di ravvivare la speranza ecumenica, penso al rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale”. [CONTINUA]

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