16 settembre 2024

La polemica. Gesù, la Chiesa e le religioni


Alberto Caccaro (Settimana News) - Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti: che non c’è nessun altro nome in cui c’è salvezza, se non Gesù̀ Cristo. Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano». A partire da queste parole di Mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino, il professor Vito Mancuso coglie l’occasione per una importante invettiva contro l’esclusivismo della Chiesa cattolica – peraltro superato da successive prospettive teologiche – che per troppo tempo ha legato la salvezza d’ogni persona al riconoscimento del solo nome di Cristo e del valore insuperabile della sua rivelazione, quando invece avrebbe potuto aprire ad altre vie di salvezza secondo quella prospettiva plurale che è propria e degna delle società moderne.

La polemica

Le parole di Mons. Repole dalle quali Mancuso prende spunto sono parte di una più ampia riflessione sulla presente crisi del Cristianesimo che ha nelle chiese vuote il suo sintomo più vistoso. Se, da una parte, l’Occidente è in profonda e continua ricerca di senso e vi è una diffusa e condivisa domanda di spiritualità, dall’altra, la Chiesa non riesce più ad intercettare tale sete e la causa di questa progressiva estraneità della compagine ecclesiale dalla vita delle persone è indicata da Mancuso proprio nel fatto che fino ad ora ha proposto per questa sete una terapia sbagliata: «l’idea cioè che “in nessun altro c’è salvezza”» al di fuori di Cristo.


«A un mondo che cerca unità, dialogo, pluralismo, – continua Mancuso – viene di nuovo offerto quell’esclusivismo teologico che lungo i secoli ha prodotto divisioni, persecuzioni, e non di rado violenze e guerre di religione». Bisognerebbe invece smarcarsi da quell’esclusivismo e percorrere la via del bene indicata da Gesù stesso in Matteo 25,34-35: “Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché́ ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto”. La salvezza, infatti, secondo questa prospettiva, non è solo per coloro «che si sono appellati al nome di Gesù, ma per coloro che hanno praticato il bene: essa cioè discende dall’etica, non dalla religione, ed è quindi universale», conclude Mancuso.

Pertanto è sbagliato insistere e limitare l’accesso alla salvezza solo a chi confessa il nome di Gesù e ha fede in lui. Basta piuttosto la pratica del bene come indicato dall’Evangelo stesso che, peraltro, è già un tratto comune di culture e religioni non cristiane. Mancuso inoltre, non senza una certa faziosità, chiosa sull’espressione di Repole «chiedo perdono» perché in essa ravvisa un’implicita ammissione di colpa del pastore di Torino, ma più in generale della Chiesa intera, per aver insistito nell’imporre qualcosa di indebito, pesante, inutile cioè l’obbligo per tutti di passare attraverso Gesù per essere salvati. [CONTINUA

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