Massimo Gramellini (Corriere della Sera) - Un Papa che rivela i retroscena dei conclavi a cui ha partecipato non si era mai visto nemmeno al cinema. Nell’ultimo libro-intervista, che segue di due settimane il penultimo, Bergoglio racconta di quando dirottò i suoi voti su Ratzinger per impedire la vittoria del candidato della Curia, e di come, nel conclave successivo, il cardinal Scola fece spostare i propri suffragi su di lui. Dopo averci spalancato le porte della Cappella Sistina (da oggi gli unici luoghi al mondo ancora passabilmente riservati rimangono l’Area 51 e gli spogliatoi dei calciatori), Francesco definisce «privo di umanità e nobiltà» il segretario del suo predecessore, il famoso padre Georg. E lascia intendere che non fu Ratzinger a volersi far chiamare «Papa emerito», ma chi gli stava intorno a costringervelo, pur di creare un dualismo con il Pontefice in cattedra.
Qualcuno loderà tanta trasparenza, qualcun altro vi troverà motivo di scandalo, ma in fondo Bergoglio non fa niente di rivoluzionario: si limita a essere un uomo del suo tempo. Un tempo in cui, chi più chi meno, siamo tutti un po’ Ferragnez, divorati dall’insopprimibile bisogno di esporre in pubblico i fatti nostri, nella speranza di venire apprezzati e capiti. Rimane il dubbio se una fede, che si nutre di mistero, possa mantenere intatta la sua presa su un mondo come questo, dove il mistero e persino sua sorella minore, la riservatezza, sembrano diventati anacronistici per tutti.
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