09 dicembre 2025

No, Leone XIV non è Francesco


Matteo Matzuzzi (Il Foglio)
- Il primo viaggio apostolico all'estero, fra Turchia e Libano, ha delineato il profilo del Pontefice, che affronta sì i grandi drammi del mondo, ma li declina secondo fede, logos e speranza. Scontentando qualcuno, che avrebbe preferito forse un pugno più duro verso i potenti "sfruttatori".

"Con un gesto di rottura, Leone XIV segna differenze con Francesco nella sua visita alla Moschea blu. Il passaggio in Turchia ha esposto contrasti di stile con il suo predecessore, dai gesti interreligiosi alla sicurezza, alla lingua e al protocollo”, scriveva la vaticanista argentina Elisabetta Piqué sulla Nación. In effetti, dopo sette mesi di pontificato, Prevost era atteso al varco nella sua prima vera uscita pubblica che non fosse il martedì di relax a Castel Gandolfo, tra partite a tennis e nuotate. Un viaggio internazionale comporta poche pause e, sovente, qualche inconveniente, dove si vede il Papa nella sua – per così dire – naturalezza. 

Lo si attendeva al varco nei conciliaboli vaticani, tra pretini ancora indecisi se rivestire la talare anche quando non richiesto o mantenere il clergyman, ma anche nei salotti dei cardinali. Pure tra le loro eminenze di cosiddetta affiliazione bergogliana, che in Conclave c’erano e votavano. Chi è davvero Leone XIV? s’era domandato l’arcivescovo di New York Timothy Dolan in un incontro pubblico di fine estate. Non lo sapeva bene neppure lui che, molto probabilmente, il nome di Prevost l’ha convintamente messo nero su bianco sulla scheda in Sistina. Sono stati mesi in cui l’agostiniano fatto Papa è apparso composto, assai istituzionale, ligio alle forme e ai protocolli. Indubitabilmente meno imprevedibile di Francesco, che entrava quasi di soppiatto nell’ambasciata russa per chiedere la fine dei bombardamenti su Kyiv, imperlando di freddo sudore la fronte dei maggiorenti della Segreteria di stato. Un Papa, Leone, che mai ha improvvisato, fedele ai testi preparati dagli uffici competenti (solo qualche banale ma utile correzione, di tanto in tanto), deciso nel leggere perfino il saluto alla folla dopo l’elezione. Ecco allora che la Turchia, e poi il Libano, erano attesi come la prova del nove per capire di più su quest’uomo divenuto Vicario di Cristo che non ha scritto neppure un libro in vita sua, che è yankee ma a modo suo, di Chicago in Illinois ma anche di Chiclayo in Perù. Ovviamente, se ne assicurava l’indubbia continuità con Francesco, riproponendo di nuovo gli schemi visti dodici anni fa, quando dinanzi alle mosse “innovative” del Papa preso alla fine del mondo si tentava, chissà poi perché, di fissare alla stregua d’un dogma l’incedere sui medesimi passi di Benedetto XVI. 

A cambiare era semmai lo stile. Dodici anni dopo s’è appurato che di continuità, fatta salva quella appunto dogmatica (e ci mancherebbe altro) ce n’è stata poco, e non solo nello stile: era un’idea diversa di come ridestare una fede in molte parti del mondo assopita, una concezione che non appariva in sintonia riguardo le priorità da mettere in capo all’agenda. Aulicamente, si può ben dire che guardare il centro dalla periferia risultava diverso che guardare quel centro standoci in mezzo. Da maggio scorso si è tornati a certificare la granitica continuità. Che poi, bisognerebbe chiarirsi in cosa essa consista. Piqué, che tra l’altro ha da poco mandato in stampa con Gerard O’Connell un libro che racconta i segreti del Conclave e si conclude con la sostanziale certificazione della continuità quasi da cordone ombelicale fra Leone e Francesco, già elencava quel che distingue i due Pontefici. 

E non sono mere questioni di contorno. Il rispettoso rifiuto di pregare rivolto alla Mecca all’interno della Moschea Blu non può essere derubricato a questione di “preferenze personali”: non è il misterioso “preferirei di no” che Melville mette in bocca continuamente allo scrivano Bartleby. E’ una scelta ben determinata, che va in controtendenza rispetto a quanto fatto dai due immediati predecessori, Benedetto XVI e Francesco, che in quel luogo silenziosamente pregarono. 

Leone no, e non solo perché curioso di fare un tour guidato tra le bellezze del luogo. Forse, a motivarlo è stata la convinzione che il rispetto più alto, foriero di un dialogo davvero integrale, consista nell’evitare commistioni strane che hanno più il sapore della posa a favore di telecamera che il passo per qualcosa di più profondo. Dopotutto, avrebbe poco senso che un amico musulmano, invitato al matrimonio d’un cattolico, si mettesse a recitare le sure coraniche davanti al crocifisso in chiesa. 


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