15 maggio 2025

Pizzaballa: fuori i veleni dal Conclave. Leone papa della pace


Intervista al cardinale Pizzaballa: «Leone XIV è un missionario libero e di governo. Così lo abbiamo scelto: i veleni sono rimasti fuori dal Conclave». 

Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera) - «Sono state giornate molto intense, molto impegnative ma soprattutto molto belle». Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, è appena uscito dall’udienza riservata dei cardinali con Leone XIV, «uno scambio di opinioni, abbiamo fatto il punto della situazione», e sta tornando a casa, nella Città Santa. Sarebbe sereno, non fosse per la realtà che lo attende.

Eminenza, stavate per entrare in Conclave quando Netanyahu ha detto d’essere pronto a occupare Gaza, com’è la situazione?

«In questi giorni non ho potuto seguire molto gli sviluppi generali, sono riuscito più che altro a interessarmi alle vicende interne della parrocchia di Gaza. Non so se si può fare qualcosa, cercherò almeno di vedere bene cosa sta succedendo. So che Trump ha in programma una visita in Medio Oriente, e sarà importante per capire come stanno le cose. Ho sentito che il governo di Israele ha richiamato diecimila riservisti, e questo è un segnale».

Che cosa si rischierebbe, con una occupazione?

«Proprio questo è difficile da comprendere, anche perché Gaza è tutta distrutta, non è rimasto più nulla da annientare. L’emergenza nella Striscia è umanitaria, più che militare. Bisogna capire che senso abbia tutto questo, considerato che a Gaza nessuno può entrare né uscire ed è già sotto occupazione, di fatto. È molto difficile esprimere qualcosa di chiaro perché non c’è nulla di chiaro».

Oggi avete incontrato Leone XIV. Che cosa ha influito nella scelta di Robert Francis Prevost?

«La sua storia personale, anzitutto. È un missionario che ha esperienza dell’annuncio, esperienza di servizio in chiese povere di mezzi. E insieme ha esperienza di governo, sia nell’ordine agostiniano sia nella Chiesa, come vescovo e poi prefetto del Dicastero per i vescovi. Sono elementi importanti. Oltre alla persona, naturalmente».

In che senso?

«È una persona che ispira subito molta fiducia, un uomo mite che sa ascoltare e allo stesso tempo mi sembra molto chiaro nei suoi interventi, nei primi gesti. Una persona chiara e libera. Siamo all’inizio del suo pontificato, ma già i primi passi ci danno grande coraggio e conforto. Anche la reazione della gente, così bella ed entusiasta, dice tanto. È un patrimonio di affetto da accompagnare e far crescere».

Eravate 133 elettori da 70 Paesi diversi. Molti di voi non si conoscevano prima delle congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave. Come avete fatto a eleggere il Papa così presto, al quarto scrutinio?

«Con buona pace di quello che dicevano molti media, era chiaro fin dal principio. L’atmosfera nelle congregazioni generali dei cardinali era molto bella, positiva. Si è visto subito un clima di comunione e di condivisione. Che si sia concluso in così poco tempo — in sostanza, il Papa è stato eletto in un giorno — ne è la dimostrazione lampante. Si parlava di divisioni e abbiamo visto l’unità del collegio cardinalizio».

Il Conclave è stato preceduto da qualche veleno diretto contro alcuni candidati considerati favoriti. Avete avvertito interferenze, mentre eravate riuniti nelle congregazioni?

«Dentro non è arrivato nulla. Magari qualcuno leggeva i giornali e ci rideva su. Ma, per quello che ho visto, il mondo esterno non ha influito minimamente sul Conclave».

Nella sua prima omelia, il Papa ha parlato di chi ha autorità nella Chiesa, riferendosi anzitutto a se stesso: bisogna «sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato»...

«Ho pensato a quel passo del Vangelo di Giovanni nel quale il Battista dice di Gesù: bisogna che lui cresca e io invece diminuisca. Così dev’essere la missione della Chiesa: evitare l’autoreferenzialità e dare spazio all’evangelizzazione, all’annuncio di qualcosa che abbiamo ricevuto e non è nostro».

C’è qualcosa che l’ha colpita, in particolare, nei suoi primi interventi?

«Ha parlato della pace, della centralità di Cristo. Le due cose che mi stanno più a cuore e sono parte della mia vita».

Ha parlato anche di un «ateismo di fatto» diffuso pure tra molti battezzati...

«Se ne parla molto, nella Chiesa, della crisi di fede. Siamo nell’anniversario del concilio di Nicea, è necessario ritrovarsi e riflettere non solo e non tanto per definire la fede in maniera teologica o dogmatica, cosa che è già stata fatta, ma per comprendere come comunicarla oggi in un contesto plurale quale il mondo è diventato».

A Nicea, nel 325, venne riaffermata la piena divinità di Cristo contro gli ariani che la negavano...

«Si tratta proprio di questo. Su Gesù che è nostro compagno di viaggio e la bellezza del suo messaggio e così via siamo tutti d’accordo, lo abbiamo detto tante volte. Ma Gesù è molto di più, e bisogna trovare il modo di dirlo al nostro tempo. Questo è il compito della Chiesa».

Quand’era in coda per il giuramento assieme agli altri cardinali, nella Sistina, lei è rimasto tutto il tempo con lo sguardo alzato, fisso al Giudizio universale di Michelangelo. Cosa stava pensando?

«Con tutto il rispetto, non capita tutti i giorni di essere lì e avere tempo a disposizione. Me lo sono goduto. Ho pensato a tutta la letteratura che ha parlato delle immagini che avevo di fronte a me. Pensi che il mio posto era proprio sotto la creazione di Adamo. È un luogo che crea un’atmosfera unica, difficile da dire. Era bellissimo».

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