Chiara Mercuri (Avvenire) - Su Francesco d’Assisi tutte e tutti sappiamo molto, ma ciò che conosciamo di lui è sempre affidabile? Oppure, in qualche caso, è il frutto di una tendenziosa ricostruzione storica, iniziata già all’indomani della sua morte? E come possiamo imparare noi a separare il grano dal loglio, visto che molti sono i secoli che ci separano dalla sua vicenda umana? Ciò che vi propongo è seguire - attraverso una serie d’interviste - la lanterna di alcuni tra i suoi maggiori esperti, non tanto per comprendere quali aspetti della sua personalità furono volutamente adombrati, ma per vegliare insieme, affinché la sua immagine non sia mai stravolta.
André Vauchez, nato a Thionville nel 1938, medievista e accademico dell’Institut de France, ha fatto parte con Jacques Le Goff del gruppo de Le Annales. Asceso ai più alti gradi della vita accademica, ha ricevuto le più alte onorificenze, tra cui la Legion d’Onore, il premio Balzan ed è commendatore al merito della Repubblica Italiana. La sua biografia, Francesco d’Assisi tra storia e memoria (Einaudi 2010, titolo originale François d’Assise: entre histoire et mémoire, Fayard 2009) è stata coronata, nel 2010, dal premio Chateaubriand.
La sua biografia resta oggi fondamentale perché non racconta solo la storia di Francesco, ma del dopo-Francesco. Cosa accadde al rapporto tra Chiara e Francesco dopo la morte dell’Assisiate?
«Non è semplice ricostruire il rapporto di Chiara e Francesco sulla base delle fonti agiografiche, la maggior parte delle quali riflette sull’argomento, più il contesto ecclesiastico degli anni che corrono dal 1230 al 1260 che il suo reale pensiero. Per comprendere l’effettivo atteggiamento di Francesco nei confronti delle donne è sufficiente però un episodio della Compilazione di Assisi, che raccoglie le testimonianze dei suoi compagni più stretti: intuendo che la morte si avvicinava, Francesco chiese ai suoi compagni di permettere all’amica romana Jacopa dei Sette Sogli di raggiungerlo. Francesco la chiamava “frate Jacopa”: un sotterfugio evidente che gli permise di non trasgredire la Regola, che vietava ai frati di ammettere le donne nei conventi e nei luoghi di residenza dei frati».
Tommaso da Celano nel Memoriale parla invece di un Francesco misogino, spaventato dal contatto con le donne e Bonaventura riprenderà quei toni accentuandoli. Eppure nessuno di quegli antichi agiografi è mai arrivato a negare apertamente l’importanza di Chiara per Francesco come ha fatto invece un suo connazionale in tempi recenti, lo storico francese Jacques Dalarun.
«Per comprendere la posizione di Jacques Dalarun si deve aggiungere un altro tassello alla storia. Da Bonaventura in poi prevalse - è vero - il racconto di un Francesco misogino, e ciò abbiamo detto era in linea con la misoginia ecclesiastica di quei secoli, ma tra la fine del XIX secolo e la metà del XX secolo si sviluppò invece, in reazione a quella visione, una lettura sdolcinata che li trasformò nei “Romeo e Giulietta” della santità. Jacques Dalarun ha giustamente criticato questa visione romantica della “coppia mistica” sottolineando che Chiara non ha avuto un ruolo molto importante nella vita di Francesco». [CONTINUA]
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