Lucia Capuzzi (Avvenire) - “Chiediamo perdono al Signore per i nostri peccati e per quelli di coloro che non rispettano il culto. Quello che che sta commettendo il sindaco e il resto delle autorità municipali è un sacrilegio”. Carlos Herrera, vescovo di Jinotega, 75 anni, aveva pronunciato questa frase domenica nella cattedrale di San Giovanni Battista nel corso dell’omelia, quasi inascoltabile a causa del rumore proveniente dalla piazza antistante, dove il Comune aveva organizzato un ritrovo proprio all’ora della Messa. Alle orecchie attente del governo di Daniel Ortega, però, non è sfuggita l’affermazione e la critica diretta al fedelissimo primo cittadino Leonidas Centeno.
Meno di settantadue ore dopo, nella notte tra mercoledì e giovedì, il pastore “scomodo”, nonché presidente della Conferenza episcopale nicaraguense, è stato arrestato al termine di una riunione, trascinato all’aeroporto di Managua e spedito in Guatemala con un biglietto di sola andata.
Nella capitale è stato accolto nella casa provinciale dei frati minori francescani, ordine a cui appartiene. Monsignor Herrera è, così, il terzo vescovo ad essere espulso dal Paese dopo Rolando Álvarez e Isidoro Mora.
Prima di loro, Silvio Báez, ausiliare della capitale, aveva dovuto fare le valigie dopo avere ricevuto minacce di morte. Nella nazione restano ormai solo cinque pastori. Un segno eloquente della persecuzione subita dalla Chiesa cattolica che, secondo il gruppo di esperti delle Nazioni Unite, rende il regime responsabile di crimini di lesa umanità. Questi ultimi hanno registrato almeno 73 detenzioni arbitrarie di cattolici o altre confessioni, basate in prove inconsistenti o falsificate. Il numero reale, però, potrebbe essere ben più alto. [CONTINUA]
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