03 settembre 2024

Intervista. Zuppi: «Non rassegniamoci alla paura, dobbiamo costruire insieme»


Avvenire - Il mondo mette paura, ma «non ci possiamo rassegnare». Con il coraggio del futuro, con la forza della speranza, con tutti quegli sforzi di «mediazione al rialzo» che questo momento storico esige, e a cui la Chiesa è pronta a contribuire «non contrapponendosi ai processi culturali ma cogliendo la domanda umana e spirituale» che portano con sé. In questa intervista ad Avvenire il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana affronta tutti i grandi temi, dalle guerre ai migranti, fino all’agenda d’autunno che attende l’Italia: la tenuta sociale del Paese, le riforme, lo stato di salute e il contributo che può dare la Chiesa.

Partiamo dall’Italia: come sta?

Prima dobbiamo chiederci come sta il mondo e come sta l’Europa, altrimenti non capiamo. Attenzione a ridurre il mondo a quello che ci riguarda, anche perché abbiamo capito che in realtà ci riguarda tutto. Speriamo anche di ricordarcelo! Facciamo fatica ad accettarlo, ma è così.

Forse perché il quadro è davvero cupo.

Il mondo mette paura, tanto che, come abbiamo rimosso la morte, addomestichiamo le difficoltà invece di affrontarle. Siamo dentro la pandemia della guerra, che proietta ombre pericolose su tutti. Qualche volta mi sembra che stia vincendo la paura della vita, tanto che cerchiamo prima tutte le risposte e sicurezze per scegliere e pensiamo di avere sempre tempo. Mi sembra che abbiamo abolito il futuro anteriore, per cui non crediamo che quando avremo costruito troveremo quello che cercavamo. Così non c’è nemmeno il futuro e tutto diventa un ipotetico condizionale o, dobbiamo dirlo, ci riduciamo al presente!

Il giubileo del 2025 ci aiuterà a cambiare prospettiva?

Il giubileo ha al centro proprio questo tema della speranza, dell’attesa e della costruzione di un bene futuro. Una speranza fondata ha sempre bisogno di segni che possano confortarla e la fede ci aiuta a vedere questi segni e a orientarci verso il futuro senza paura, in modo positivo. È la speranza che mi suggerisce di costruire quello che ancora non c’è, ma che vedo già oggi, tanto posso dire che “quando l’avrò costruito, la casa sarà bellissima!”.

Tutte le fotografie di taglio economico e sociale raccontano che in Italia ci sono due o più Paesi, sempre più lontani tra loro, per benessere, aspirazioni, possibilità: la frammentazione è inesorabile?

Non ci possiamo rassegnare. È proprio vero, ma lo crediamo poco: nessuno si salva da solo. Coltivo il sogno ingenuo che sia possibile mettere da parte le ideologie - ma non gli ideali, la conoscenza, la passione – per evitare una politica ridotta a rissa e polarizzazione. Coltivo il sogno che sia ancora possibile su temi fondamentali per la nostra convivenza ricercare un consenso ampio, il più ampio possibile.

Che cosa occorre?

Tanta mediazione al rialzo, ma soprattutto non pensare al proprio incasso ma solo e rigorosamente a quello di tutti. Come non guardare con preoccupazione alla povertà che si sta cronicizzando e alle disuguaglianze che crescono, ai giovani che emigrano nonostante i buoni segnali sul fronte dell’occupazione, ai troppi morti sul lavoro. Un vero piano di ricostruzione richiede risposte unitarie, un sistema di dialogo e fiducia e una responsabilità trasversale per liberarsi da quelle effimere. Bisogna sapere scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà!

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