14 agosto 2024

Fine vita, Farri: “Ecco i nodi da sciogliere”


Interris - “Per ragioni ontologiche e scientifiche, recentemente ribadite anche da un parere del Comitato Nazionale di Bioetica, nel concetto di trattamenti di sostegno vitale non dovrebbe essere ricompresa una serie di strumenti che la legge sulle DAT vi ha ricondotto, a cominciare da nutrizione e idratazione artificiali, e che la giurisprudenza ha impropriamente esteso anche al campo del suicidio assistito”, spiega a In Terris il professor Francesco Farri, docente al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Genova e membro del Centro Studi Livatino.

Il tema del fine vita è tornato di stringente attualità. I mass media hanno enfatizzato il fatto che, dopo gli interventi della Corte Costituzionale, in determinate condizioni il suicidio assistito non deve più considerarsi reato in Italia. E’ davvero così?

“Esattamente. Nella ricorrenza delle condizioni fissate dalla Corte Costituzionale, l’assistenza al suicidio allo stato attuale non è più punibile secondo l’ordinamento italiano”.

Quali sono queste condizioni poste dalla Corte Costituzionale, in presenza delle quali l’assistenza al suicidio può ritenersi non punibile in Italia?

“L’art. 580 c.p. punisce con la reclusione da cinque a dodici anni chi aiuta altri a realizzare il proprio proposito suicidario. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 242/2019, ha dichiarato incostituzionale tale disposizione, e quindi legalizzato l’aiuto al suicidio, quando ricorrono congiuntamente quattro condizioni: 1) il proposito suicidario sia manifestato da una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili; 2) il proposito suicidario sia frutto di una decisione pienamente cosciente, autonoma, libera e consapevole da parte del soggetto; 3) il malato sia coinvolto in un appropriato percorso di cure palliative; 4) le condizioni e le modalità di esecuzione del suicidio assistito siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Il che non implica, naturalmente, che l’esecuzione materiale del suicidio assistito debba avvenire presso strutture del sistema sanitario nazionale, dai cui compiti e obiettivi di cura esso esula secondo l’attuale ordinamento. La Corte Costituzionale ha confermato l’impianto della decisione 242/2019 anche nelle occasioni successive, in cui era stata sollecitata a estendere ulteriormente il perimetro di liceità del suicidio assistito in Italia (cfr. specialmente Corte Cost., n. 50/2022 e 135/2024)”. [CONTINUA]

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