Se i partiti della maggioranza “Ursula” non terranno conto del messaggio lanciato dagli elettori, e non apriranno un dialogo concreto con le forze di destra sui principali dossier, essi si assumeranno una responsabilità enorme, creeranno una polarizzazione radicale che non hanno le armi per governare e potranno andare incontro a spiacevolissime sorprese.
Eugenio Capozzi (La Nuova BQ) - I risultati delle elezioni per il Parlamento europeo sono stati netti e inequivocabili. Pur nelle differenze anche sensibili tra un paese e un altro, il quadro generale è quello di una decisa svolta a destra, con il rafforzamento dei gruppi del Ppe (Partito Popolare Europeo), di Identità e Democrazia (Id) e dei Conservatori e riformisti (Ecr), il crollo dei liberal-centristi di Renew Europe e dei Verdi, la tenuta a sinistra soltanto dei socialisti.
Se si guarda poi ai grandi temi su cui si è prevalentemente imperniata la campagna elettorale e alla distribuzione di successi e insuccessi nei rispettivi paesi, la vittoria delle destre assume un significato molto preciso, altrettanto inequivocabile a meno che non si voglia fingere di non vederlo. Gli elettori dei Paesi componenti l'Unione hanno usato il voto per esprimere un sonoro rifiuto verso tutte le principali agende politiche sostenute dalla classe dirigente continentale nella Commissione guidata da Ursula von der Leyen e nel Consiglio, e dall'asse politico tra la Francia di Emmanuel Macron e la Germania di Helmudt Scholz; contro la radice astratta e ideologica di quelle agende; contro il metodo verticistico con cui si è cercato di imporle ai cittadini europei, e di demonizzare e censurare quanti non erano d'accordo con esse.
In particolare, gli elettori hanno espresso il loro rifiuto verso la radicale politica “green” impostata sull'obiettivo irrealistico e costosissimo di eliminazione delle fonti di energie fossili; sulla forzata e altrettanto irrealistica elettrificazione del settore automotive che distrugge l'industria continentale per avvantaggiare soltanto la Cina; sugli assurdi obblighi di adeguamento di abitazioni ed edifici, con esborsi insostenibili a carico dei proprietari; a criteri totalmente arbitrari di “neutralità” delle emissioni di CO2. Hanno detto un sonoro “no” a una politica altrettanto ideologizzata sul tema dell'immigrazione, ancora pervicacemente imperniata sulla priorità dell'”accoglienza” e sui dogmi del relativismo culturale, indifferente alle giuste paure delle popolazioni autoctone e ai rischi sempre maggiori per la sicurezza, la vivibilità, la convivenza secondo i principi di civiltà dell'Occidente.
Hanno detto ugualmente no - anche se pochi lo sottolineano – allo strapotere, nelle politiche Ue, dell'agenda Lgbt e alla riduzione dei diritti civili ad assecondamento di desideri di potere di minoranze prepotenti ai danni dei più deboli, con la corrispettiva mortificazione della famiglia, della maternità e paternità, della protezione della vita e dell'infanzia. Infine, hanno espresso il loro chiaro rifiuto per una politica estera di polarizzazione ed esasperazione dello scontro con la Russia sul caso del conflitto ucraino, fino alla concreta, inaudita evocazione di un possibile coinvolgimento bellico diretto dei paesi Ue.
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