12 agosto 2024

Analisi e perplessità sul “Piccolo lessico del fine-vita”


Francesco Farri (Centro Studi Livatino/Interris) - Lo scritto si propone di fornire una prima nota di lettura del documento “Piccolo lessico del fine-vita”, curato dalla Pontificia Accademia per la Vita.

1. L’obiettivo del libro “Piccolo lessico del fine-vita”.

Il “Piccolo lessico del fine-vita”, curato della Pontificia Accademia per la Vita, si propone l’obiettivo di dimostrare come anche dall’impostazione moderna, se razionalmente intesa, possano trarsi indicazioni sul fine vita compatibili con il messaggio evangelico e l’antropologia cristiana.

Si propone di dialogare con i diversi linguaggi morali del contesto pluralista cercando, in certo modo, di “scrivere dritto sulle righe storte”.

Questo obiettivo è certamente apprezzabile, laddove si propone di parlare un linguaggio universale rivolto anche ai non credenti: in questo, il libro manifesta certamente maggiore utilità per l’operatore giuridico e politico, prima ancora che per il credente.

Anche in questa prospettiva laicale, peraltro, l’impostazione del testo appare eccessivamente accondiscendente rispetto alle istanze più lontane dall’antropologia cristiana, nella misura in cui rinuncia a compiere il passaggio conclusivo del ragionamento, ossia – in prospettiva laica – dimostrare che una delle tesi oggetto del dialogo può essere vera in senso oggettivo a discapito delle altre e – in prospettiva religiosa – che l’oggettiva Verità risiede nel messaggio di Gesù Cristo, cui peraltro il libro riconosce valore di “senso etico universale” (pag. 12).

2. L’auspicio di una legge sul suicidio come “legge imperfetta”, con profili di superamento del Magistero.  

Per esemplificare quanto da ultimo osservato, si considerino i seguenti passaggi.

Si esalta nel libro l’utilità del dialogo “tra tutti i portatori di diverse prospettive morali e differenti comprensioni del bene” per raggiungere “autentiche soluzioni condivise”, “un percorso di apprendimento reciproco”, “forme concrete e praticabili del bene comune e dell’amicizia sociale” (pag. 10), ma si sfuma la necessità del suo tendere verso un bene oggettivo, sempre indicato in modo piuttosto vago e tautologico come il bene integrale della persona umana nella sua globalità (pagg. 8, 58, 63).

Tanto è vero che si invoca, in alcuni casi (v. voce Nutrizione e idratazione artificiali, Proporzionalità dei trattamenti), la logica della valutazione del caso concreto (“discernimento”, pag. 56) oppure una valutazione relativizzante delle caratteristiche del trattamento rispetto alla sua oggettiva funzione.

Si predica la correlazione fra etica e diritto, ma con un ragionamento assai contorto (pagg. 10-11) si giunge ad ammettere la bontà intrinseca di “mediazioni sul piano legislativo, secondo il tradizionale principio delle ‘leggi imperfette’” (pag. 12).



[CONTINUA]

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