Massimiliano Castellani (Avvenire) - Se volevano stupirci con la loro proverbiale grandeur, beh gli organizzatori, registi, coreografi, i nani e le ballerine della cerimonia d’apertura di Parigi 2024 ci sono riusciti, ma niente affatto alla grande. Portiamo ancora i postumi della sbronza multimediale della parata parigina. Effetti collaterali per la salute degli stoici spettatori della maratona inaugurale: rischio polmoniti per chi sedeva nei posti delle tribune scoperte, riservate anche al nostro capo di Stato Sergio Mattarella, e coliti per alcuni passaggi nauseabondi che mortificano secoli di grande arte francese.
Dagli spalti del Trocadero (mi raccomando da casa calcare la erre e porre il dovuto accento sulla ò) alla fine della tempestosa quanto pirotecnica – anche senza fuochi finali per le polveri bagnate - inaugurazione, il pubblico è andato via allucinato dalle mille paillettes con cui è stata addobbata la Ville Lumière, ma anche bagnato fradicio di inquietudine, spiazzante.
Lo smarrimento di chi ha assistito a un megashow in piena regola in cui c’era di tutto, tranne che il vero spirito olimpico che di solito è il protagonista assoluto. Invece no, Parigi traccia il solco e si riprende la sua Bastiglia sciovinista anche in campo sportivo. Le squadre, gli atleti, dopo Parigi 2024 faranno parte del mero contorno coreografico e chi non ha un fiume a disposizione come la Senna – depurata e portata ai livelli di trasparenza del fondale di Stintino, pensa la sindaca Hidalgo - e non si procura i battelli o al limite dei barconi di salvataggio, da questo momento è squalificato. Parola di “Re Sòla” Macron e di tutti i suoi cortigiani salvapoltrone all’Eliseo. Gli unici gongolanti dopo oltre quattro ore di parodie, passando da un ponte all’altro del kitsch e dell’effimero gigantismo spettacolare. Frutto di effetti specialissimi di una tecnocrazia-tecnologica ormai padrona assoluta dei Giochi. Come un piatto di nouvel cousine gli chef della serata hanno messo in pentola di tutto: pop, rock, lirica. E poi hanno scekerato gli ingredienti con un pizzico fin troppo abbondante di imprescindibile “fluidismo”.
I nostalgici non hanno fatto in tempo a versare la lacrimuccia sulle note romantiche de Il tempo delle mele (qui ormai i poeti della musica Brassens, Gainsbourg, Trenet, Brel sono dinosauri da museo antropologico) che implacabile dall’altra parte dell’Oceano è planata a pelo d’acqua l’adrenalinica e postmoderna Lady Gaga. Un’americana a Parigi, una star strapagata dalla Coca-Cola come se dovesse esibirsi alla festa di compleanno di un presidente Usa o meglio ancora alle nozze di uno dei tanti sceicchi piazzati in tribuna che hanno applaudito la versione 3.0 di Mon truc en plumes , omaggio almeno alla francesissima Zizi Jeanmaire, ballerina, attrice e showgirl scomparsa in piena pandemia, nel 2020. [CONTINUA]
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