«Così, le iniziative personali di Papa Francesco cancellano la realpolitik della Segreteria di Stato, che in alcuni casi sconfina nell’Ostpolitik 2.0. Questo è successo in Cina e in molte altre occasioni...»
Andrea Gagliarducci (Korazym) - Che la diplomazia papale sotto Papa Francesco abbia due velocità è diventato evidente ancora una volta quando si è diffusa la notizia dell’arrivo a Roma del Vescovo di Shanghai, Mons. Joseph Shen Bin. Il vescovo è in città per partecipare ad un evento in occasione del Centenario del Consiglio plenario dei cattolici cinesi tenutosi a Shanghai nel 1924.
Ma Shen Bin non è un vescovo qualunque. La sua nomina a Shanghai effettivamente unilaterale da parte del governo cinese, è stata uno schiaffo simbolico per la Santa Sede ed un’eloquente espressione della posizione di Pechino sul controverso accordo sino-vaticano che dovrebbe creare un quadro di condivisione del potere per la nomina di vescovi.
Nel pieno di una serie di tensioni, anche perché Papa Francesco aveva concesso un’ampia apertura di credito ai buddisti mongoli legati al Dalai Lama e al Tibet, le autorità cinesi hanno deciso che potevano fare una mossa: nominare un vescovo già ordinato con la doppia approvazione di Roma e Pechino, ad una diocesi di alto profilo come Shanghai, dove era già stato nominato un vescovo, Mons. Thaddeus Ma Daqin. Però, da quel momento Daqin, era rimasto agli arresti domiciliari, punito dalle autorità cinesi per aver abbandonato le fila dell’Associazione Patriottica [CONTINUA]
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento