12 marzo 2024

Perché i cattolici faticano a rispondere alle sfide culturali


Roberto Righetto (Avvenire) - Timidi, impreparati, autoreferenziali, chiusi dentro un immaginario povero: da qui la fatica a essere significativi nelle dinamiche contemporanee.

«Molta morale, poca comunità, zero cultura»: è questa la sintesi dell’impietosa analisi del cattolicesimo italiano compiuta nei giorni scorsi su Avvenire dal teologo Pierangelo Sequeri. Un intervento lucidissimo che dovrebbe aprire un dibattito sulla scarsa attenzione verso la cultura da parte della Chiesa.

Eppure la necessità di una presenza, senza pensare a formule ormai superate o a schieramenti monolitici, è stata rimarcata anche dal cardinale Zuppi in una recente intervista a Civiltà cattolica. Il presidente della Cei ha rilevato come, nonostante «certe pregiudiziali negative», in generale vi sia «una buona disponibiltà al confronto e al dialogo da parte di molti». Ed è certamente vero: si pensi ai passi avanti compiuti negli ultimi decenni per quanto riguarda il dialogo fra credenti e non credenti. Ma Zuppi ha anche onestamente ammesso come oggi l’apporto dei cattolici al mondo della cultura, per quanto «prezioso», faccia «molta fatica a trovare delle modalità espressive», anche a causa di «una certa timidezza davanti ad atteggiamenti a volte aggressivi di una certa cultura dominante». E infine ha invitato a mettere in campo «quella fantasia creativa che sa superare muri e steccati».

Parole che dovrebbero sollecitare i cattolici italiani, e quelli impegnati nel mondo della cultura in particolare, a farsi protagonisti di una forte azione per combattere il grave analfabetismo religioso della nostra epoca. Non ci si può però accontentare di richiamare la secolarizzazione, o quella che i sociologi ormai chiamano la post-post-secolarizzazione, che ha corroso profondamente il tessuto culturale del popolo italiano, ma anche quello dei credenti e dei praticanti. [CONTINUA

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