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20 dicembre 2023

Rottura: Francesco abbandona l’antropologia di Wojtyla e Ratzinger

 


Francesco Valerio Tommasi (Domani) - I suoi predecessori avevano sollevato una barriera invalicabile sulla morale sessuale, e più in generale sulla cosiddetta “questione antropologica”, dando al tema la rilevanza di questione decisiva per i destini dell’umanità, e di conseguenza per la dottrina.

Nella possibilità di benedire coppie irregolari e coppie omosessuali, ammessa ieri dalla dichiarazione “Fiducia supplicans” del dicastero per la Dottrina della fede della chiesa cattolica, colpiscono tre punti.

Un aspetto di carattere generale, che però è decisivo per chiarire gli altri due più specifici. Viene finalmente e palesemente alla luce qualcosa che era ovvio, ma che spesso si tende a negare. La chiesa riconosce e recepisce il mutamento storico al suo interno e nelle sue posizioni anche dottrinarie. La dichiarazione di ieri, infatti, va in direzione opposta rispetto a un responsum del 2021 dello stesso dicastero. Ma si pensi, ad esempio, già al Sillabo, ossia al documento emanato da Pio IX nel 1864 che condannava, tra le altre cose, libertà di coscienza, libertà di stampa, liberalismo. Oppure alla recente correzione del Catechismo in materia di pena di morte. Questa plasticità rispetto alle innovazioni del mondo è stata un motivo di forza del cattolicesimo, e gli ha permesso di sopravvivere, pur in affanno, alle varie stagioni storiche e in particolare a quelle della modernità. Assumere sino in fondo questo punto, permette di cogliere la dichiarazione di ieri come un momento di passaggio. Permette di valutarne i limiti e di apprezzarne correttamente l’apertura.

E qui arriviamo al secondo punto. La dichiarazione si preoccupa infatti, sin dalle prime righe, di ribadire che non si modifica «in alcun modo l’insegnamento perenne della chiesa sul matrimonio». La situazione delle coppie ancora definite «irregolari» non viene «convalidata ufficialmente».

Si tratta di ammettere una prassi, che sino a due anni prima era stata però esplicitamente negata. La distinzione tra prassi pastorale, ossia la modalità di governo concreto quotidiano della vita dei fedeli, e verità teorica fissata in termini legislativi è un altro crinale di sopravvivenza decisivo per il cattolicesimo. Su questo crinale ha lavorato sinora papa Francesco, che cerca di gestire con equilibrio faticoso le spinte innovative (ad esempio del clero tedesco) e le resistenze conservatrici (ad esempio del clero statunitense). Ma è ovvio che teoria e prassi dovranno in qualche modo conciliarsi.

Già in questo caso si afferma che le benedizioni «conducono a cogliere la presenza di Dio in tutte le vicende della vita». “Bene-dire” significa implicitamente approvare, o comunque vedere e affermare il bene che è presente in una cosa, in una persona, in una situazione. Diventa veramente difficile dare una benedizione e contemporaneamente condannare l’irregolarità. Così come è difficile mantenere la distinzione tra benedizione e sacramento, nel momento in cui lo stesso papa Francesco, riferendosi all’eucarestia, aveva detto che non va intesa come un premio per i meritevoli, ma come una medicina per i malati.

L’equilibrismo di questa dichiarazione va letto non tanto alla luce del presunto “perenne” insegnamento della chiesa, quanto piuttosto come una svolta radicale rispetto alla linea di Wojtyla e Ratzinger che sulla morale sessuale, e più in generale sulla cosiddetta “questione antropologica”, avevano sollevato una barriera invalicabile, dando al tema la rilevanza di questione decisiva per i destini dell’umanità e, conseguentemente, per la dottrina. L’idea di una natura umana immutabile, che proprio nell’espressione dell’affettività troverebbe un suo punto cardine, veniva ossessivamente ribadita, al punto che anche documenti su temi apparentemente molto distanti, come la pace, contenevano richiami a questo aspetto.

Mancava – e così torniamo al primo punto – la consapevolezza storica dell’evoluzione sociale rispetto ai modi di vivere la sessualità, cui anche la chiesa si è almeno in parte accomodata nelle varie epoche. Ma difettava anche la consapevolezza storica di come la cosiddetta “antropologia”, lungi dall’essere una disciplina perenne, non sia altro che una invenzione moderna che accompagna quella che Michel Foucault ha chiamato «invenzione dell’uomo».

È dunque in prospettiva storica che si può e si deve leggere questo nuovo documento, apprezzandolo come una tappa di passaggio verso una evoluzione che, rispetto ai tempi tradizionali del cattolicesimo, sta avvenendo piuttosto rapidamente.

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