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27 agosto 2025

Leone XIV, un pontificato a tappe?


Claude Barthe (Osservatorio Van Thuan) - «Simone, Simone, ecco, Satana ha cercato di vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Luca 22:31-32).

Abbiamo avuto modo di dire che il pontificato bergogliano, con la sua pomposità, potrebbe ben costituire, se non la fase terminale del periodo post-conciliare, almeno l’avvicinarsi della sua fine. A patto, naturalmente, che vi siano uomini di Chiesa che abbiano la necessaria determinazione a voltare pagina. In mancanza di ciò, e nel frattempo, possiamo sperare nell’adozione di una sorta di realismo provvisorio, in virtù del quale le forze cattoliche ancora esistenti verrebbero lasciate vivere e svilupparsi. Ma in ultima analisi, è al grande ritorno dell’ordine magisteriale che la Chiesa di Cristo aspira e che i suoi pastori devono preparare.

Un Papa per “allentare le tensioni”

I papi successivi al Concilio dedicarono tutte le loro energie a superare le fratture inevitabilmente causate dal crollo liberale della dottrina ecclesiologica e, dopo Francesco, di quella del matrimonio. Queste fratture dottrinali furono illustrate da quelle causate dalla riforma liturgica, anch’essa liberale e annacquata. Nessuna “ermeneutica” riuscì a ricomporre i pezzi del vaso rotto. Il messaggio missionario della Chiesa continuò a evaporare, mentre il numero dei suoi sacerdoti e dei suoi fedeli diminuiva. Inoltre, lo stile d’azione del pontificato di Francesco causò un caos diffuso.

È dunque, più che mai, il ritorno all’unità che si esige dal nuovo papa, uomo di riflessione, di preghiera, di ascolto attento, e anche impenetrabile. Ma quale unità? Quella sognata da chi lo ha portato al pontificato, tutti provenienti dall’ambiente conciliare, e per di più nel suo tono bergogliano, ovvero un consenso pacifico che comprende l’adesione alle grandi “conquiste”? O piuttosto l’unità attorno alla parola di Dio, “efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio” (Eb 4,12)?

Negli ultimissimi giorni prima del conclave di maggio, i giornalisti italiani notarono che il cardinale Prevost, un prelato autoproclamatosi serio e riservato, il cui nome era stato indicato dai più informati come quello che se ne sarebbe andato, sembrava particolarmente preoccupato. Lo si sarebbe potuto essere meno. La prospettiva di assumere la guida di una Chiesa nello stato in cui si trova non poteva che far tremare.

I cardinali che volevano fare il re avevano cercato un uomo di continuità, ma in modo diverso. Nonostante alcune frizioni passate, Papa Bergoglio ha saputo individuare le qualità di questo religioso agostiniano. Perché non si può negare a Francesco il suo carisma, la sua capacità di leadership, anche su questo punto, ovvero quello di saper preparare un successore diverso e rassicurante. Ha elevato in brevissimo tempo alla massima carica Robert Francis Prevost, che aveva individuato nel 2018 durante la sua visita apostolica in Perù. Ha affidato all’amministratore apostolico (2013) e poi vescovo (2014) di Chiclayo nel 2023 l’incarico di Prefetto del Dicastero dei Vescovi, ovvero l’incarico essenziale nel governo romano di fare i vescovi – e anche disfare i vescovi –, ancora più essenziale sotto il pontificato di Francesco che, con una determinata volontà politica, si è impegnato a rinnovare il corpo episcopale e il collegio cardinalizio. Meno di due anni prima della sua elevazione al soglio di Pietro, il vescovo Prevost divenne prefetto, cardinale, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina [CONTINUA]

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