Il Santo Padre Leone XIV ha incontrato oggi il clero di Roma. Unità e carità le parle centrali del suo discorso. Un discorso che ha rallegrato e incoraggiato i tanti sacerdoti presenti in aula Paolo VI in un clima di rinnovata collaborazione e di fiducia reciproca tra il Vescovo di Roma e il suo clero. Nessuna domanda o discorso a braccio. Nessun richiamo da parte del Papa ma un incoraggiamento a proseguire nella missione.
Vaticano - Carissimi Presbiteri e Diaconi che svolgete il vostro servizio nella Diocesi di Roma, carissimi seminaristi, vi saluto tutti con affetto e amicizia!
Ringrazio Sua Eminenza, il Cardinale Vicario, per le parole di saluto e per la presentazione che ha fatto, raccontando un po’ della vostra presenza in questa città.
Ho desiderato incontrarvi per conoscervi da vicino e per iniziare a camminare insieme a voi. Vi ringrazio per la vostra vita donata a servizio del Regno, per le vostre fatiche quotidiane, per tanta generosità nell’esercizio del ministero, per tutto ciò che vivete nel silenzio e che, a volte, è accompagnato da sofferenza o da incomprensione. Svolgete servizi diversi ma siete tutti preziosi agli occhi di Dio e nella realizzazione del suo progetto.
La Diocesi di Roma presiede nella carità e nella comunione, e può compiere questa missione grazie ad ognuno di voi, nel vincolo di grazia con il Vescovo e nella feconda corresponsabilità con tutto il popolo di Dio. La nostra è una Diocesi davvero particolare, perché tanti sacerdoti arrivano da diverse parti del mondo, specialmente per motivi di studio; e questo implica che anche la vita pastorale – penso soprattutto alle parrocchie – sia segnata da questa universalità e dalla reciproca accoglienza che essa comporta.
Proprio a partire da questo sguardo universale che Roma offre, vorrei condividere cordialmente con voi alcune riflessioni.
La prima nota, che mi sta particolarmente a cuore, è quella dell’unità e della comunione. Nella preghiera detta “sacerdotale”, come sappiamo, Gesù ha chiesto al Padre che i suoi siano una cosa sola (cfr Gv 17,20-23). Il Signore sa bene che solo uniti a Lui e uniti tra di noi possiamo portare frutto e dare al mondo una testimonianza credibile. La comunione presbiterale qui a Roma è favorita dal fatto che per antica tradizione si è soliti vivere insieme, nelle canoniche come nei collegi o in altre residenze. Il presbitero è chiamato ad essere l’uomo della comunione, perché lui per primo la vive e continuamente la alimenta. Sappiamo che questa comunione oggi è ostacolata da un clima culturale che favorisce l’isolamento o l’autoreferenzialità. Nessuno di noi è esente da queste insidie che minacciano la solidità della nostra vita spirituale e la forza del nostro ministero.
Ma dobbiamo vigilare perché, oltre al contesto culturale, la comunione e la fraternità tra di noi incontrano anche alcuni ostacoli per così dire “interni”, che riguardano la vita ecclesiale della Diocesi, le relazioni interpersonali, e anche ciò che abita nel cuore, specialmente quel sentimento di stanchezza che sopraggiunge perché abbiamo vissuto delle fatiche particolari, perché non ci siamo sentiti compresi e ascoltati, o per altri motivi. Io vorrei aiutarvi, camminare con voi, perché ciascuno riacquisti serenità nel proprio ministero; ma proprio per questo vi chiedo uno slancio nella fraternità presbiterale, che affonda le sue radici in una solida vita spirituale, nell’incontro con il Signore e nell’ascolto della sua Parola. Nutriti da questa linfa, riusciamo a vivere relazioni di amicizia, gareggiando nello stimarci a vicenda (cfr Rm 12,10); avvertiamo il bisogno dell’altro per crescere e per alimentare la stessa tensione ecclesiale.
La comunione va tradotta anche nell’impegno in questa Diocesi; con carismi diversi, con percorsi di formazione differenti e anche con servizi differenti, ma unico dev’essere lo sforzo per sostenerla. A tutti chiedo di porre attenzione al cammino pastorale di questa Chiesa che è locale ma, a motivo di chi la guida, è anche universale. Camminare insieme è sempre garanzia di fedeltà al Vangelo; insieme e in armonia, cercando di arricchire la Chiesa con il proprio carisma ma avendo a cuore l’essere l’unico corpo di cui Cristo è il Capo. [CONTINUA]

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