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06 aprile 2024

L’eredità che ci ha lasciato Giovanni Paolo II


Gianfranco Svidercoschi (Interris) - Il 27 aprile, nella Basilica di San Pietro, verrà celebrata una Messa per i dieci anni della canonizzazione di San Giovanni Paolo II. 

A presiederla sarà cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio. Il 2 aprile del 2005 era un sabato. Karol Wojtyla sussurrò a suor Tobiana: “Lasciatemi andare dal Signore”. Poi, il suo cuore si fermò. E, già qui, c’era una prima eredità che Giovanni Paolo II lasciava: da uomo, prima che da Papa. E cioè, lui che era stato acclamato come “John Paul Superstar” come “il Papa globetrotter”, vigoroso, atletico, osannato in tutto il mondo, e ora invece era un povero vecchio impedito di camminare, impedito di parlare, ebbene, voleva ricordare – a una società ossessionata dal vitalismo, dall’efficientismo, dalla sublimazione del corpo – come si possano vivere le diverse stagioni della vita con dignità, con serenità.

E, soprattutto, come si possa affrontare con coraggio anche una prova così sconvolgente, così “definitiva”, come la morte. In tanti gli chiedevano di diradare le apparizioni pubbliche.

Il Papa si rendeva perfettamente conto del suo stato di salute, ma che avrebbe dovuto fare, chiudersi in Vaticano? Una volta, a padre Roberto Tucci, organizzatore dei viaggi papali, aveva detto: “Crede che non mi veda in televisione come sto combinato. Ma se nascondessi la mia infermità, non finirei anche per nascondere il mio ruolo di pastore, per separarmi dalla gente?”. 

Prima ancora di compiere gli ottant’anni, aveva chiesto agli esperti se fosse stato il caso, in quelle condizioni, di dare le dimissioni; e, dopo la risposta negativa (comunque aveva predisposto ugualmente tutto, nel caso ce ne fosse stato bisogno), decise di fronte a Dio di proseguire la sua missione, almeno fino a quando ne avrebbe avuto le forze. [CONTINUA]

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