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18 marzo 2024

Cattolici e cultura, serve ricominciare dalla Bibbia


Carlo Ossola (Avvenire) - L'articolo di Roberto Righetto pone seri interrogativi, che muovono dall’analisi dal teologo Pierangelo Sequeri: «"Molta morale, poca comunità, zero cultura". È questa la sintesi dell’impietosa analisi del cattolicesimo italiano compiuta nei giorni scorsi [dallo stesso] su Avvenire». Le nette osservazioni dell’uno e dell’altro meritano qualche ulteriore chiosa, che qui stringo in pochi paragrafi. 

La società d’oggi è globalizzata, ma manca di paradigmi universali (capaci cioè di far convergere verso obiettivi comuni). È paradossale che chi si professa cattolico, dal greco "universale", rinunci alla visione che lo definisce, enunciata in estrema sintesi da san Paolo: "Non ha più alcuna importanza l’essere ebreo o pagano, schiavo o libero, uomo o donna, perché uniti a Gesù Cristo tutti voi siete diventati una cosa sola" (Galati, 3, 28). Quando è universale, la parola cattolica varca i tempi, le epoche, i drammi umani: la Divina Commedia nella bocca e nella memoria di Primo Levi ad Auschwitz, l’infinito Deo gratias di Johannes Ockeghem, canone a 36 voci che risuona ancor oggi ovunque la lode si elevi verso l’eterno. Per rimanere nell’universale, occorre leggere, amare, proferire, cantare, far apprendere quest’annuncio senza frontiere, a cominciare dalla Bibbia.

La Bibbia appunto; osservava Hermann Hesse: "Tutto l’insieme della poesia cristiana sino a Dante, e poi sino ai nostri giorni, è una proiezione e illustrazione del Nuovo Testamento, e se anche tutta la letteratura dovesse sparire, ma rimanesse qualche copia del Nuovo Testamento, noi potremmo ancora, e senza posa, creare letterature nuove e non meno universali, a partire da quel testo" (Magia del libro. Scritti sulla letteratura). Che posto ha ancora la Bibbia nella nostra formazione? [CONTINUA]


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